Benché l’attuale coltura dell’Avanà sia limitata alle valli alpine occidentali, Giovan Battista Croce all’inizio del Seicento annovera l’“Avanale” tra i vitigni “della montagna di Torino” (Croce, 1606), intendendo con questo termine o la zona collinare a sud-est del capoluogo piemontese o tutto il sistema collinare e montuoso torinese, tra cui a buon diritto le valli alpine dove la viticoltura era un tempo ben presente. Poco meno di due secoli dopo, il conte Nuvolone (1798) menziona un “Avanà cagnino” tra le uve di seconda qualità, e non sono certo molti, va ricordato, i vitigni piemontesi citati prima dell’Ottocento. In quest’epoca è opportuno ricordare il richiamo del Di Rovasenda (1877), che a torto ritiene l’Avanà identico al francese Varenne (corrispondente in realtà al ben distinto Troyen).
La prima descrizione ampelografica di riferimento dell’Avanà risale alla metà del Novecento (Dalmasso et al., 1964), seguita da una più recente trattazione (Schneider e Raimondi, 2006), ma con il sinonimo di Hibou il vitigno è già descritto nei testi ottocenteschi, il primo dei quali corrisponde alla trattazione sui vitigni della Savoia di Tochon (1868).