La comparsa nell’Italia settentrionale di viti e di vini identificati dal termine Sclava o similari, risale alla prima metà del XIV secolo (De Crescenzi, 1309; Hohnerlein-Buchinger, 1996), ma sembra che almeno inizialmente tali termini riguardassero vitigni a bacca bianca; circa l’origine di questo nome, ci sembra plausibile l’ipotesi di Quintarelli riportata da Dalmasso (1937), per la quale il viticoltore medievale distingueva le varietà adattabili a forme poco espanse, con tralci di viti diverse legati l’uno all’altro o a sostegni morti (Sclave), da quelle a maggiore espansione, allevate su sostegno vivo (Majores).
Il primo riferimento esplicito a Schiave a bacca nera è probabilmente quello fatto da Agostino Gallo (1564) e, anche per l’origine bresciana dell’autore, siamo portati a pensare che le “Schiave nere grosse di grano” di cui egli parla corrispondano effettivamente al vitigno qui trattato e non alla Schiava grossa atesina.
La presenza di questo vitigno in area lombarda era molto importante ancora nel XIX secolo e al principio del ‘900 stando ai numerosi sinonimi riportati da Molon (1906): tra questi quello più certo e tipico era forse quello di Margellana nell’area milanese e comasca, già ricordato dal commentatore milanese del Mitterpacher (Lavezzari, 1784).
Tra le prime descrizioni in cui si possa riconoscere questo vitigno vi è forse quella fatta da Giuseppe Malossi, corrispondente di Acerbi (1825) per la Sciaa del territorio di Chiari (Brescia), ma probabilmente si riferisce ad essa anche quella del Ciau tra le viti dell’Oltrepò pavese, nella stessa opera.
Per quanto riguarda il Piemonte, con i suoi sinonimi di Bregiola e Varenzasca o Valenziana era ben presente alla fine dell’Ottocento rispettivamente nel Novarese e nel Biellese (Garbasso, 1881). La Varanzasca era inoltre ben conosciuta dal cav. Sperino che la descrisse insieme a Freisa, Croatina, Uva rara e Neretto nella sua breve memoria stilata a Lessona (1906).
Questo vitigno, tuttavia, non doveva essere limtato alla sola area lombardo-piemontese: un Rafaione (Rafayon) dell'alta Toscana, segnalano D'Onofrio e collaboratori (2015), si è capito corrispondere proprio a questo vitigno (vedi accessione collegata). Difficile è collegare con certezza questo stesso genotipo all'uva da vino raffigurata in un celebre dipinto del pittore mediceo Bartolomeo Bimbi, che dipinse appunto un "Rafone", mentre assai più probabile è l'identità con il Rafajone noir corso descritto da Foëx ed illustrato da Troncy nell'opera di Viala e Vermorel (1903), viste le corrispondenti caratteristiche.
Di questa varietà esiste una descrizione stilata per conto del Ministero da Cosmo, Sardi e Calò (1962), con il nome ‘Schiava lombarda’.