Anche se negli ultimi decenni è stata piuttosto trascurata,
probabilmente l’Albana è il vitigno che più caratterizza la Romagna, visto che
solo in quest’area è in grado di esprimere al meglio le sue potenzialità. A
prescindere dalle leggende che legano l’Albana a Galla Placidia, la prima
testimonianza documentale certa della sua presenza e coltivazione in Romagna ci
viene da Pier De Crescenzi, che nel 1300 parlando delle “diverse specie di
viti” e in particolare delle “migliori” così si esprime: “è uva bianca, un poco lungo abbiente il granello, e fa assai grandi
grappoli e spessi e lunghi… le sue granella molto son colorate dal sole, e
molto tosto la sua maturità si compie, ed è assai dolce in sapore”.
Più tardi anche il Tanara (1654) descrive l’Albana: “La qualità poi naturale dell’uva si deve
molto considerare perché l’Albana pare che tenga il primo luogo in far vino
delicato”.
Nell’Ottocento la fama di certi vini si poteva desumere anche da
alcuni componimenti poetici, come è il caso del ditirambo “Il Bacco in Romagna”
dell’abate Piolanti, in cui troviamo anche un riferimento all’Albana: “Voglio
aspergermi le labbra col buon vino di Bertinoro, che biondeggia come l’oro e
giocondo fa ogni cor”
(Piolanti, 1818).
Nella seconda metà dell’800 si trovano diverse
citazioni tecniche in merito all’Albana. Negli Annali di Viticoltura ed
Enologia Italiana (1873) viene descritta la viticoltura del Circondario di
Cesena, che produceva all’epoca circa trentaseimila ettolitri di vino, e fra i
vitigni presenti l’Albana era al primo posto.
Il Pulliat (1874) ci fa notare che gli antichi
agricoltori del Bolognese erano più razionali di quelli del suo tempo, poiché tenevano
l’Albana a taglio corto anziché maritarla agli alberi.
Il prof. Grandi nel Bullettino
ampelografico (vol. X) nel 1879 scrive: “L’albana
coltivata nella collina ed in terre calcari-silicee tende al tipo dei vini
aromatici e liquorosi, perché ricca di sostanze zuccherine e mancante d’acidi e
di fermento, quindi il vino risulta quasi sempre dolce; col tempo acquista un
sapore suo particolare. Può chiamarsi vino tipo del circondario di Cesena
perché nessuno s’occupa a fare altri vini, fuorchè col nome di albana e di
albanella di vigna e del piano”.
Da quanto riferito, traspare come, nei secoli, i
diversi Autori che si sono occupati dell’Albana abbiano spesso evidenziato la
predilezione dell’Albana per certi ambienti, e nel primi decenni del Novecento,
Mariano Savelli, del Regio Laboratorio Autonomo di Chimica Agraria di Forlì (Annuario 1922-1933), sintetizza
perfettamente questo aspetto: “I luoghi
di Romagna ove l’Albana si coltiva, … sono: le colline di Dozza (Imola), di
Riolo, di S.Lucia delle Spianate nel Faentino, di Terra del Sole e Castrocaro,
di Bertinoro, di Cesena, di Longiano e Montiano. Tutta questa zona che trovasi
ad una pressoché identica latitudine ed appartiene ad una stessa epoca
geologica, evidentemente racchiude tuttora in se stessa il segreto della sua
peculiare attitudine produttiva; infatti la sua profondità è minima, non
oltrepassando mediamente in linea retta quella di 2-3 chilometri, e tutti
i tentativi fatti per l’impianto di vigne d’albana oltre i limiti di questa
zona, sono rimasti infruttuosi; il vino che ne risulta perde il color d’oro,
l’odore e la morbidezza, confondendosi con un ottimo vino bianco comune”.