Un gran numero di
vitigni condivide il nome Trebbiano, spesso accompagnato da un nome geografico
che dovrebbe indicare il luogo di origine o di maggior diffusione. Il Trebbiano
romagnolo è un vitigno a bacca bianca che tendenzialmente produce un vino
leggero da consumarsi giovane. Molto probabilmente la diffusione, in Romagna,
risale ai periodi Etrusco e Romano, quando i colonizzatori impiantarono vitigni
dopo la bonifica e l’appoderamento delle terre. Qualcuno lo dice originario
dell'agro trebulano, citato da Plinio il Vecchio che, nella sua Naturalis
Historia, mette in rilievo il pregio del vino Trebulanum, prodotto nell'agro
omonimo e arrivato sul mercato nel periodo di Nerone.
Altri fanno derivare
il nome da trebula (=casale o
fattoria), con cui si indicava un vino non necessariamente anche un vitigno. Il
termine Trebbiano, quindi,
poteva indicare un vino bianco locale, 'paesano' o 'casereccio', prodotto nei
vari poderi o fattorie di campagna per l'uso degli stessi contadini.
Nel periodo dell'Impero
Romano era chiamato "vino dei legionari" in quanto non appagava i
gusti dei raffinati bevitori dell'impero, mentre era apprezzato dagli uomini
dell'esercito.
Nel Trecento Pier De Crescenzi
scriveva : “C’è un'altra specie di uva,
detta Tribiana, che è bianca con acini tondi, piccoli ed abbondanti, che in
giovane età non dà frutto ma crescendo diventa feconda”.
Andrea Bacci, enologo e medico di Papa
Sisto V, nella sua opera "De naturali vinorum historia" (1596)
racconta della presenza in Abruzzo di un vino ottenuto da uve Trebulanum sin
dal XVI secolo.
Il Gallesio, nella sua Pomona Italiana (1831), pur descrivendo
solo il Trebbiano fiorentino, ricorda che in Italia esistono numerosi e
differenti Trebbiani e cita anche “quello che forma il fondo delle vigne della
Romagna”.
La moltitudine dei Trebbiani traspare molto bene anche
nell’Ampelografia del conte di Rovasenda, che ci dice: “Dal Tortonese, anzi dall’Alessandrino scendendo sino alle ultime
Romagne s’incontrano uve coltivate sotto il nome di Trebbiano che non sono
certamente tutte identiche fra di loro” e tra gli altri cita il Trebbiano
della fiamma e il Trebbiano dell’occhio, tipici dell’areale di Cesena.
Interessante anche quanto si legge, in merito alle uve del
Circondario di Forlì, sul fascicolo X del Bullettino Ampelografico: “Il trebbiano è l’eccellente fra i vini
bianchi; ad esso accennava fin dal secolo decimoterzo l’agronomo illustre di
Bologna Piero de’ Crescenzi. Due sottovarietà ben distinte di trebbiano si
coltivano in Romagna; l’una più amante del colle è detta trebbiano montanaro a
Forlì, a Civitella, a Predappio, a Bertinoro, a Terra del Sole; mentre si
chiama trebbiano gentile a Meldola…. L’altra sottovarietà dicesi trebbiano
della fiamma a Forlì, a Predappio, a Cesena, a Faenza, e somiglia al pagadebito
di Fermo, derivando il suo nome, secondo l’egregio Caldesi, dal colore della
buccia giallo-rossastra, o più cupamente tinta in rosso-mattone” (Ministero d’agricoltura, industria e
commercio, 1879)
A inizio Novecento il Molon ci offre una mirabile sintesi delle
denominazioni di Trebbiano delle varie aree d’Italia, anche se non è facile
capire quali possano essere sinonimi e quali nomi di varietà distinte:
probabilmente il comune denominatore sono la produttività e la rusticità di
questi vitigni (Molon, 1906).
Negli anni venti del Novecento, il dott. Bazzocchi, della
Cattedra ambulante di Forlì, presenta una descrizione di alcuni vitigni
rappresentativi dell’area e propone la scheda di tre trebbiani, Trebbiano della
fiamma, ricercato anche per il consumo da mensa, perché dolce e serbevole, il
Trebbiano di Solarolo, considerato il più pregiato dei tre, e il Trebbiano
montanaro (Bazzocchi, 1923).
Negli anni ’70 ritroviamo, poi, una presentazione del Trebbiano
romagnolo fatta dal conte Giovanni Manzoni, che ci riferisce che in passato era
detto anche: “Giallo di Romagna o
Trebbiana. Vitigno antichissimo rigoglioso, molto produttivo e coltivato in
tutta la Romagna. Vinificato dà un buon vino da pasto di color giallo dorato o
paglierino più o meno intenso, di sapore asciutto, gradevole, talvolta,
leggermente acidulo, amabile e frizzante” (Manzoni, 1977).