Plinio il Vecchio, nella sua “Naturalis Historia” (I
sec. d.C.), parla di un vino chiamato “Pino Lieto” che "non è abbastanza dolce per essere buono“,
visto che gli antichi romani amavano il vino dolcissimo. Si può quindi ipotizzare
che nell'antichità il Pignoletto fosse già conosciuto.
Nel 1300 Pier de Crescenzi parla di una varietà di
uva detta Pignolo, presente in Emilia-Romagna, ma sembra fosse nera.
Negli statuti di Savignano del 1398 vengono citati i
vitigni “malvasia, tribiano e ruibola vel
greco”. Sotto le denominazioni di Greco e Grechetto sono compresi alcuni
vitigni che hanno caratteristiche spesso molto diverse. Alcuni ipotizzano che
il nome sia legato alla loro zona d’origine (la Grecia), mentre altri lo
associano al fatto che durante il Medioevo le uve di questi vitigni servivano a
produrre vini simili a quelli che venivano importati dal Mediterraneo
orientale. Recenti ricerche hanno accertato l'identità tra Grechetto di Todi, Pignoletto e Rebola riminese (Filippetti et al.,1999), mentre il Grechetto di Orvieto e il Greco di Tufo sono vitigni diversi dai precedenti.
Tanara, nel 1654, nel suo trattato "Economia
del Cittadino in Villa", fa precisi riferimenti ad "Uve Pignole"
che sono coltivate nelle colline della provincia bolognese.
Nei “Saggi ampelografici ed analitici intorno a sei
vitigni romagnoli” (1876), Pasqualini e Pasqui, così sintetizzano le loro
osservazioni sul territorio: “Il Pignolo
assai somiglia al Pignolino di Predappio, all’Occhialina di Sogliano al
Rubicone, e alla Ribolla piccola di Rimini. A Cesena chiamasi eziandio l’Uva
dell’occhio: e presenta qualche analogia col Dolcino della Provincia d’Ancona;
col Magliolo di Castrocaro, coll’Uva Santa Maria di Perugia; avvertendo però
che queste tre uve hanno bensì i grappoletti serrati a pigna, ma portano
acinelli sferici. Un accurato confronto ci dimostrava che questo Pignolo ha
nella forma del grappolo e degli acini, se non nel colore, molta somiglianza al
celebre Pinot rosso di Francia. Grappolo piccolo, però allungato e serrato a
pigna, con acinelli piccoli, lievemente ovali, di color verde chiaro: porzione
libera dell’asse primario breve e cilindrica. Foglia quinquelobata, col lobo
medio bene distinto e col bordo seghettato: la pagina superiore è verde,
l’inferiore ha poca peluria. Tralcio piuttosto gracile di color
cannella-chiaro, con internodi corti. Maturazione precoce”.
Gli stessi Autori, nel 1878 ampliano la loro rassegna ampelografica a otto vitigni romagnoli e relativamente al Pignolo
dicono: “Ha l’impronta caratteristica del vitigno, che deriva il suo nome dallo
strobilo o cono del Pino; a cui infatti ha qualche assomiglianza col suo
piccolo grappolo serrato a pigna, rivestito di piccoli acini subrotondi di
colore verdastro. Manifestamente questo vitigno schierar si può nella eletta
tribù dei Pinots bianchi di Francia”. La descrizione non lascia dubbi, ma
l’avvicinamento ai Pinot sembra azzardato.
La presenza di Pignoletto nella zona dei
Colli bolognesi è testimoniata da diversi autori, mentre nell’areale di
pedecollina e pianura, dove si coltivava anche l'Alionza, lo stesso vitigno era
chiamato Alionzina (Grilli, 1970; Faccioli e Marangoni, 1978; Faccioli et al., 1978).
Negli anni ’70, nell’areale bolognese
erano presenti anche diversi vigneti di Riesling italico che gli agricoltori
locali avevano realizzato con materiali venduti per Pignoletto dai vivaisti.
Anche se non voluta, la confusione tra i due vitigni andò avanti fino a fine
anni ’70, quando Faccioli e Marangoni (1978), scrissero la parola fine su
questa questione attraverso un accurato lavoro di caratterizzazione
ampelografica del Pignoletto/Alionzina e della sua comparazione con il Riesling
Italico.