Senza dubbio uno dei più noti vitigni storici italiani, il Nebbiolo viene citato per la prima volta nel 1266 (la data è stata stabilita con certezza solo recentemente da J. Vouillamoz), cosa che lo rende tra le varietà attestate da maggior tempo. In Piemonte solo il Gragnolato (un vitigno ad uva bianca forse oggi scomparso) vanta citazioni più antiche. Il “Nibiol” nel documento storico duecentesco è presente nei vigneti della Castellania di Rivoli, presso Torino. Pochi decenni dopo (a inizio Trecento) la sua diffusione appare già piuttosto ampia e va dall’area albese e roerina ai dintorni di Asti (De Crescentiis, 1309) fino alla Val d’Ossola (col sinonimo Prunent), mantenendo però sempre una presenza ben documentata nell’attuale provincia di Torino (Comba e Dal Verme, 1990). Risale alla fine del ‘500 la presumibile prima citazione in Valtellina in provincia di Sondrio (segnalazione di D. Zoia), tuttora rinomata zona di coltura alpina.
Tale frequente ricorrenza in testi storici relativamente antichi indica come il Nebbiolo dovesse non solo essere considerato all’epoca varietà di pregio (visto che solo i vitigni nobili meritavano una denominazione nei testi scritti), ma anche come la sua espansione colturale nell’Italia nord-occidentale fosse nel passato rilevante. Non se ne trovano tracce in altre aree viticole italiane e straniere, se non alquanto sporadiche e sempre a partire dal XIX secolo.
E’ solo dall’Ottocento che il vino Nebbiolo si afferma con la tipologia di vino fermo e austero su cui si basa il suo attuale successo e che sostituì un Nebbiolo dolce e frizzante in voga in precedenza. In questi ultimi territori il Nebbiolo è base dei vini di Lessona, Ghemme e Gattinara, la cui rinomanza risale ad alcuni secoli addietro. Nella sua trattazione del Nebbiolo, Giorgio Gallesio (1817-39) lo indica infatti come “Nebbiolo canavesano”, e lo dice il “vitigno principe della falda dell’Alpe”, a sottolineare la particolare vocazione alla coltura dei territori a nord del Po.