Una prima citazione di un ‘Nerello’ in area alessandrina viene fatta da don Spagarino, sacerdote della valle Belbo, verso la fine del XVIII secolo (Pasqua, 1993)
Nello stesso periodo, anche il conte Nuvolone (1798) cita un ‘Anré dei Monferrini’ e un ‘Annerato di Valenza’ che si riferiscono certamente a questo vitigno, benché egli li consideri erroneamente sinonimi di altre varietà.
Possiamo riconoscere per la prima volta i peculiari tratti morfologici del Neretto nelle brevi note di viaggio che Giorgio Gallesio scrisse in uno dei suoi viaggi (1995) in Piemonte; egli lo vide nella pianura di Novi ligure nel 1834, dove era chiamato ‘Uva da cane’ o ‘Anrè’, mentre la prima descrizione dettagliata è quella di Demaria e Leardi (1875).
Nei documenti ottocenteschi citati, così come in quelli successivi, il Neretto di Marengo è sempre indicato come uva poco produttiva per via dei grappoli molto spargoli, ma dalla quale si producono vini pregiati. E’ questa anche l’opinione del conte di Rovasenda che fornisce ai colleghi Mas e Pulliat (1876) le note che così possiamo tradurre: “ Il Neretto è incontestabilmente la migliore uva indigena che coltiviamo nella pianura di Alessandria [...]. Sarebbe un’uva di assoluto prim’ordine e delle più raccomandabili, se non avesse il difetto capitale di essere soggetto alla colatura e di perdere molto spesso i numerosi frutti che mostra in primavera.”