Il Terrano del Carso o Terrano
d'Istria, appartiene alla famiglia dei Refoschi e potrebbe trattarsi dello
stesso vitigno indicato da Plinio come Pictaton: “È da credersi che questo vino sia quello che i Greci celebrarono con
rivolte lodi col nome di Pictaton, che dicevano provenire dai limiti estremi dell'Adriatico”.
Cagnina
è la denominazione con cui è diffuso in Romagna il vitigno Terrano,
presumibilmente introdotto in Romagna all’epoca bizantina quando, per la
costruzione dei noti monumenti di Ravenna, si importava la pietra calcarea
dalla Dalmazia e dall’Istria. Le prime notizie di questo
caratteristico vino, risalgono al XIII secolo e si riferiscono alla vite ed al
vino friulano, mentre per trovare riferimenti del vino prodotto in Romagna si
deve risalire al conte Gallesio che, nel 1839, ebbe modo di assaggiare il vino
di Cagnina durante uno dei suoi viaggi, ospite del conte Rappioni di Ravenna.
In merito ai vini fatti con Canina e Cagnina, ebbe a dire: “… I Ravennesi li vantano come vini di Bordò ma
in sostanza sono mediocrissimi vini alla Toscana, neri asciutti ma senza corpo,
aspri e acerbi” (Baldini, 1995). Il giudizio non è certo lusinghiero, ma in
effetti la Cagnina offre le sue migliori prestazioni negli ambienti
pedecollinari o collinari, dove oggi ancora la si ritrova coltivata, e non certo
nella pianura intorno a Ravenna. Bazzocchi, nell’Ampelografia dei
vitigni romagnoli (1923), parla della Cagnina in questi termini: “È un vitigno di proficua coltivazione dando
vino abboccato, facilmente spumante, gradevolmente profumato”. Il lughese Giovanni Manzoni,
sintetizza in questi termini le vicissitudini della Cagnina in Romagna, nei
secoli: “Detta anche Mangiacane o
Cagnetta. Uva con tutta probabilità della Iugoslavia. Tenuta in gran pregio
sebbene anticamente fosse piccola di grappolo e di acini radi. Coltivata in
Romagna già nel 1200 in alcune piane del Cesenate, del Forlivese e del
Ravennate fu poi limitata solamente a qualche modesto vigneto, come lo è ancora
oggi, per la sua scarsa resa. Il vino di Cagnina di color rosso, dolciastro,
amabile, generoso, frizzante e profumato fu bevuto avidamente attraverso i
secoli, per la sua bontà, in tutte le osterie romagnole” (Manzoni, 1977). Per
la sua intensità colorante, in Emilia-Romagna, la Cagnina è stata confusa con
il Negretto bolognese.