La prima citazione dell’Uva Tosca ‘risale al 1644, quando Tanara descrive il vino di questa varietà “rossetto, piccolo, non molto dolce, piccante, gratioso e sanissimo”. Nel 1800 Filippo Re, nel resonconto dei viaggi nelle montagne di Reggio Emilia, stila "la nota delle uve che si coltivano nella nostra montagna"; tra le 21 varietà che elenca, la Toscaviene ritenuta "la migliore per gli alberi". La salubrità e sapidità del vino di Uva Tosca è riportata anche da Nicolò Caula, che nel 1752 descrive lo scarso colore di Tosca e le differenze entro vitigno: “…altra è lunghetta di grane, altra è rotonda” (in Maini, 1851). Aggazzotti (1867) parla di due varietà: Tosca gentile, di cui descrive caratteristiche morfologiche, tardività e resistenza ai geli invernali, e Tosca comune, di cui delinea le differenze rispetto a Tosca gentile, in particolare gli acini di maggiore dimensione, la maggiore produttività e rusticità, e la minore finezza e bontà. Di Rovasenda (1877), che nella sua Ampelografia riprende la descrizione di Aggazzotti, afferma che Tosca comune è la più coltivata a Sassuolo e Modena.
Nel 1840 la Tosca è stata inserita dal Bertozzi nell’elenco delle "altre viti di uva di colore" prodotte nel Reggiano.
Casali (1915) inserisce solo "òva tòsca" come nome reggiano, a fronte dei nomi italiani "Tosca" e "Tosca comune".
La sua attitudine ad essere coltivata in collina e montagna viene descritta da Marzotto (1925).
Nel periodo post-fillosserico la sostituzione nei nuovi vigneti e l’abbandono delle montagne hanno causato la rarefazione di questo vitigno, presente oggi su pochi ettari.