L’Uva di Troia o Vitigno di Canosa (presente nell’area di Barletta,
Corato, Andria e Trani) è il primo dei vitigni a bacca nera descritto da Frojo
(1875) nella sua “Relazione sugli studi Ampelografici eseguiti nelle Puglie” pubblicata,
nel 1986, nel I fascicolo del Bollettino Ampelografico edito dal Ministero d’Agricoltura,
Industria e Commercio.
Il "Vitigno di Canosa", come sinonimo di Uva di Troia, è presente anche nell'elenco generale dei vitign della Amelografia Universale del di Rovasenda (1877) che cita, come fonti,
sia il Bollettino Ampelografico di cui sopra, sia il giornale La Vite e il Vino (16, Milano).
Secondo Costacurta e Germinario (2010) è verosimile che il
sinonimo Uva di Troia sia stato introdotto da Frojo per ricordare il legame tra
l’area di Canosa e quella dell’antica Canosium, comprendente parte dei territori
delle attuali province di Bari e Foggia (noti anche come Campi Diomedei) e
colonizzata, secondo la leggenda, dal mitico eroe della guerra di Troia Diomede.
Il genotipo potrebbe essere giunto dall’Asia Minore o anche essere stato già
coltivato nell’area ad opera delle preesistenti popolazioni locali (Dauni e
Peuceti).
Negli scavi dell’antica città di Arpi, nell’area foggiana
dei Campi Diomedei, sono state ritrovate monete raffiguranti, tra altri
simboli, un grappolo d’uva.
In Capitanata, ove in terreni fertili l'Uva di Troia risulta molto produttiva, il vitigno veniva in passato indicato con il nome di Somarello, come ricordato anche da Costacurta e Germinario (2010).