Benché si sia appurato che questo vitigno corrisponde alla Bonda recuperata e descritta in Valle d’Aosta (Moriondo, 1999) e a seguito di tali studi iscritta nel Registro nazionale (Bonda N.), si è preferito mantenere il nome di Uva roussa (=Uva rossa) con cui è stata reperita nel Canavese, in Piemonte, dove è citata storicamente e dove nel passato aveva probabilmente una presenza colturale maggiore rispetto a quella valdostana. E’ il Gatta, il medico eporediese studioso dei vitigni del Canavese e della Valle d’Aosta (1833), a citare una Uva roussa abbondantemente coltivata nel circondario di Caluso (la cui riportata abbondante tomentosità degli organi vegetativi mal si adatta però al vitigno qui presentato) e una Bonda, di cui non svela la sinonimia, presente all’epoca tra Arnad e Saint-Pierre a ovest di Aosta.
E’ tuttavia probabile che con il nome di Bonda in Valle d’Aosta fossero chiamate cultivar diverse, considerando che gli ampelografi ottocenteschi riportano la sinonimia Bonda-Prié rouge, che non pare corretta visto che il Prié rouge è un vitigno distinto, e anche che lo stesso Moriondo (1999) cita una Bonda diversa (con acini ellissoidali e foglia intera) presente nei vecchi vigneti di Aymaville. La Bonda, inoltre, è ben distinta dalla Bondola, un vitigno tipico dell’Alta val d’Ossola e del confinante Ticino svizzero.
Tornando al sinonimo canavesano della Bonda, a fine Ottocento, dall’inventario della Commissione Ampelografica provinciale (1877), una Uva roussa era ampiamente coltivata un po’ in tutto il Canavese, da Caluso a Rondissone, oltre che in piccole proporzioni in Valle d’Aosta. Pur mancando una descrizione morfologica storica, potrebbe trattarsi del vitigno qui descritto, caratterizzato da una abbondante produzione di uva che, anche per il carico produttivo, assume un colore deciso solo nei grappoli ben maturi.