Come ricorda Giusi Mainardi in un esauriente
articolo dedicato a questo vitigno (2000), la prima notizia di viti ‘Berbesine’
risale al 1246, quando i canonici della Cattedrale di Casale Monferrato
concessero in affitto un appezzamento di terreno perché fosse impiantato con
questa varietà. La conferma che si trattasse di quello che attualmente
conosciamo come Grignolino ci viene dal conte Giorgio Gallesio (1995) che al
principio dell’800 annotò nei diari dei suoi viaggi come quello che nella piana
di Alessandria e a Quattordio (AL) veniva ancora chiamato Barbesino corrispondesse
al Grignolino di Portacomaro (AT) e dell’Astigiano, dove era considerato “il
vino da tavola di tutte le persone agiate".
La presenza costante durante i secoli della
coltivazione del Grignolino nella zona tradizionale ci è confermata dalla sua
presenza tra i vini della cantina del Castello di Casale nel 1614 (Comba e Dal
Verme, 1990), ma che quest’area di coltura fosse un tempo più ampia possiamo
ricavarlo dall’opera di Demaria e Leardi (1875) che affermano come con i
sinonimi Balestrà, Arlandino ed altri, questo vitigno fosse allora presente in
larga parte della provincia di Alessandria (che allora comprendeva anche la
attuale provincia di Asti).
Largamente
apprezzato durante tutto il XIX secolo e l’inizio del Novecento, in seguito,
anche a causa di una certa sensibilità alle malattie e soprattutto al marciume
dell’uva, il Grignolino ha visto contrarre la superficie ad esso dedicata così
come si ridusse l’interesse da parte dei consumatori, maggiormente orientati a
vini più colorati e corposi. Attualmente, il Grignolino vede un interesse
rinnovato grazie alla nuova passione per la differenziazione dei consumi ed è
nuovamente oggetto di ricerca da parte di consumatori orientati alla tipicità.