L’uva Ruggine, con questo nome almeno, non la si ritrova citata molto spesso nelle ampelografie o in lavori descrittivi sulla vitivinicoltura.
Interessante è la descrizione che ne fa il conte Gallesio, quando il 27 settembre 1839 (Baldini, 1995) si trova a Modena ed ha l’opportunità di valutare le principali uve di questa zona.
Egli riferisce che le uve bianche del Modenese sono la Ruggine, il Trebbiano di Spagna e la Malvagia e “con queste tre riunite si fanno dei vini-liquori squisiti; esse vengono in albero e pure sono di una maturità perfetta e di un colorito completo”. Ciò che cattura l’attenzione dello studioso, quindi, è la completezza della maturazione di queste uve nonostante si trovino in una condizione di elevata vigoria e di competizione con le piante di alto fusto a quel tempo impiegate come tutori vivi per le viti.
Della Ruggine scrive: “grappolo sottile, longo, racimolato al peduncolo, spargolo, pignato alla punta, con acini minuti come quelli del Lambruschino nero, verdognoli, diafani, coloriti di tinta di sole, ciò che gli ha fatto dare il nome di Rugine”.
Più tardi, nel 1887, il Ramazzini cita la Ruggine fornendo alcune indicazioni sull’areale di coltivazione: “... molto produttiva, buona da vino e diffusa verso il bolognese …”.
Nel 1928, il Consiglio provinciale dell’economia corporativa di Modena pubblica “Usi e consuetudini nel commercio dell’uva e del vino”, in cui tra le uve bianche di qualità viene citata anche la Ruggine (Venturelli, 1982).
Poi se ne perdono le tracce fino a che viene presa in esame in una tesi, dell’Università di Bologna (Venturelli, 1982).
Pedroni, colui che ha preservato questa varietà dall’estinzione, riferisce che la coltivazione di quest’uva era limitata alle aree della pianura modenese verso Bologna, tra Manzolino e Bagazzano, poi negli anni ’70 è stata abbandonata. In effetti gli obiettivi produttivistici invalsi in quel periodo portarono a preferire varietà dalla produttività più elevata e più costante. Infatti, nonostante Ramazzini dica che è un vitigno produttivo, la sterilità fisiologica dei fiori determina spesso situazioni di forte acinellatura dei grappoli in dipendenza dell’andamento stagionale e, probabilmente, della presenza nel vigneto di altre varietà di vite quali impollinatori.
Le vecchie alberate erano costituite da un miscuglio di più varietà, spesso anche a bacca di colore diverso, e probabilmente questo favoriva l’allegagione della Ruggine, mentre il suo inserimento in vigneti specializzati, monovarietali, forse portò a grappoli molto acinellati e quindi più piccoli.
L’inserimento di alcune piante all’interno di un vigneto collezione a Coviolo di Reggio Emilia, alimenta questa ipotesi, poiché rispetto al vigneto di Pedroni di Rubiara, qui si ottengono grappoli con un maggior numero di acini normali, più compatti e quindi più grossi (peso anche tre volte superiore).