Appartiene alla grande famiglia dei “Nerelli” o “Nigrelli” o “Neri siciliani”, che nella collezione del Mendola erano più di dieci e che l’Autore definisce: “tutti fertili, viniferi, a uve non profumate,sparsi per tutta la Sicilia e a grappoli neri, donde pigliano nome”. L’Acerbi (1825), nel “Catalogo delle varietà di uve osservate nei contorni di Termini” riporta il Niuri grossu, il Niuri zurbusu, e il Niereddu scuzzulunni. Negli elenchi pubblicati dai Comitati provinciali siciliani risultano, sotto il termine “Neri”, “Nerelli” e “Negrelli”, più di venti varietà. Il Mendola (1868), il Di Rovasenda (1877) ed anche il Pulliat e il Mas nel “Le Vignoble” (1874) considerano il Nerello mascalese nel gruppo del Nerello cappuccio e i primi due Autori differenziano il Mascalese dal Cappuccio per il colore del legno che invece di essere cardellino giallo è beige e perché impone nel vino più colore ed una certa austerità. Il Mendola (1868) afferma, inoltre, che ciascuna delle due varietà il Cappuccio e il Mascalese ha un corteggio di sottovarietà proprie, ma che nessuna di queste deve essere confusa con il Nieredduni (Nerellone) del Cupani (1696), molto vicino al Calabrese cappuccio. Il nome del vitigno fa riferimento alla Contea di Mascali, antico territorio alle pendici dell’Etna, sito tra l’attuale Giarre e Mascali (CT), probabile centro di origine o almeno di diffusione della cultivar. Molto probabilmente rientra nell’antico gruppo dei vitigni ‘Nigrelli’ descritti da Sestini (1759) nelle sue “Memorie sui vini siciliani”e che nel 1776 nella memoria “Dei vini di Mascali città della Sicilia” elogia un vitigno denominato negrello che definisce ben conosciuto dai viticoltori mascalesi. E’ interessante evidenziare che il Sestini consideri il Niuridduni cioè Nerellone e il Niureddu ordinario cioè il Negrello, entrambi descritti dal Cupani, rispettivamente una specie di Sangioveto e il “vero” Sangioveto. Il Di Rovasenda (1877) e il Mendola (1868) considerano il Nerello mascalese vitigno principale per la produzione dei vini di Mascali e Riposto che, peraltro, in quell’epoca erano a ragione considerati i centri principali per la produzione di vini neri in Sicilia. L’abate Gioacchino Geremia nella memoria letta tra il 1838 e il 1839 all’Accademia Gioenia di Scienze naturali di Catania, riferisce ”…..gli etnei saggiamente hanno ripiene le falde dell’Etna di questo Nerello e molto più le terre che sono fertili e che all’uopo si adattano”. Il Mazzei (2005) indica la molteplicità di ecotipi di Nerello Mascalese presenti e li ritiene il risultato della forte pressione selettiva esercitata dai differenti ambienti etnei e dal conseguente lavoro di selezione massale operata dai viticoltori. Studi molecolari (Branzanti et al., 2010) analizzando 111 piante prelevate da vigneti commerciali considerati di Nerello Mascalese, hanno riscontrato la presenza di diverse varietà, alcune delle quali, peraltro, non è stato possibile identificare. Studi parentali (Maitti et al., 2009) suggeriscono una parentela con il Carricante altro vitigno simbolo dell’area etnea ed ipotizzano (Cipriani et al., 2010; Carimi et al., 2010) che il Nerello Mascalese potrebbe essere un incrocio naturale fra Sangiovese e Mantonico bianco e quindi fratello del Gaglioppo, riscontri confermati da De Lorenzis et al., (2014), che evidenziano inoltre le differenze genetiche tra il Nerello Mascalese e Nerello Cappuccio (identificato nel Carignano) e le relazioni genetiche tra i Nerelli siciliani e calabresi (i Negrelli).