Il vitigno Calabrese nero è iscritto al Registro Nazionale delle Varietà di Viti ed ha come sinonimo riconosciuto per la Regione Sicilia il nome di Nero d'Avola. Tale sinonimo con il quale era riconosciuto in passato non si riferisce alle sue origini, ma alla fama che avevano in passato i vini calabresi. Il vitigno era noto in Sicilia fin dalla fine del 1696 da Cupani ed era giudicato molto bene per la buona qualità della sua uva da vino ed era compreso in un gruppo di varietà dette “Calavrisi” o “Cababrisi”, con un aggettivazione di provenienza come Palermo, Avola, o di colore (niuro). Alla fine dell’800 nel Bollettino Ampelografico compaiono le prime descrizioni di alcuni Calabresi (dolce, d’Avola, di Leofonte, etc.) e si ipotizza un’altra origine del nome, da “colaurisi”, “colaulisi”, “calavrisi” dove calea sta per uva (dialettale di “racina” in siciliano) ed aulisi per Avola , nella denominazione popolare e quindi Calaurisi o Calaulisi e da questo Calvrisi divenuto Calabrese probabilmente perché con il termine Calabrese si indicava un tipo di vino ottenuto lavorando le uve con il metodo calabrese e che veniva prodotto e commercializzato in differenti tipologie nella Sicilia orientale. L’ipotesi che l’origine del nome Calavrisi sia da legare alla città e isola della Grecia di Calauria da cui il vitigno sarebbe stato importato, non è sufficientemente suffragata. I territori di elezione per la coltivazione di questo vitigno erano quelli di Pachino e Vittoria, che producevano vini molto richiesti dal Midì della Francia nel periodo della crisi fillosserica, che li spediva successivamente nel Bordolese, sotto la denominazione di vino di Pachino. Il Sangiovese toscano ha come sinonimo il nome di Calabrese, forse per la sua origine antica. Cancilia (2004) afferma, “a metà del Cinquecento la qualità di uva più diffusa in Sicilia appare comunque il Mantonico mentre rari erano Moscatello Guarnacca, Calabrese e Malvasia” Cupani (1696) descrive un vitigno Calavrisi che il Sestini (1812) lo definisce “uva che produce ottima qualità di vino” e lo ritiene essere il Calabrese della Toscana che altro non è che una specie di Aleatico. Il De Maria (1754) nell’elenco delle varietà coltivate in Sicilia, riporta il Calabrese. Il Landolina-Nava (1802) descrivendo il vino Calabrese prodotto nel territorio di Siracusa dice: “il vero Calabrese si tira da due sorti di uva, una chiamata Calabrese la quale porta l’odore di viola, l’altra chiamata Vernaccia nera , e questa lo rende delicato”. Acerbi (1825) nel “Catalogo delle uve ne contorni di Termini” descrive una varietà Calavrisi niuru: “foglia quinquelobata con denti irregolari, cotonosa di un verde cupo. Acino bislungo, nero, di grossezza quasi uguale. Grappoli solitari. Gran quantità di cirri.” Mendola (1868) riporta nella Collezione un Nero d’Avola di Siracusa, per vino ordinario e di consumo e un Calabrese o Calavrisi d’Avola che descrive come nero dolcissimo, più precoce degli altri Calabresi e che da vini robusti e che considera appartenente, ma diverso, ai gruppi dei Niureddi. Il Di Rovasenda (1877) riporta nel Catalogo un Nero d’Avola, e diversi calabresi fra cui il Calabrese o Calavrisi d’Avola. Alla fine dell’800, comunque, il Nero d’Avola si diffonde in tutte le province siciliane,come emerge dai Bollettini Ampelografici (1883) della provincia di Caltanissetta, Girgenti e Palermo, anche se in alcuni comuni della provincia di Siracusa continua a rappresentare quasi l’unico vitigno coltivato (Carpentieri, 1922). Nei suddetti Bolletini vengono riportati sotto i nome Calabrese e Nero d’Avola molte accessioni il che fa pensare che in realtà si tratta di una ampia popolazione di biotipi e che con il termine Calabrese si indicassero diverse varietà. Recenti studi molecolari (Carimi et al., 2011) confermano tale ipotesi avendo dimostrato che sotto il nome Nero d’Avola e/o Calabrese sono indicati diversi biotipi alcuni forse cloni ma altri certamente ben distinti ed appartenenti ad entità genetiche differenti.