Risale al 1593 la prima nota citazione del Dolcetto (Nada Patrone in Comba, 1990), per la precisione dei “Dozzetti”, e si riferisce al divieto di anticipare la vendemmia nel territorio di Dogliani, nelle Langhe piemontesi, per cui se qualcuno avesse voluto vendemmiare qualche Dolcetto avrebbe dovuto chiedere un permesso ufficiale. Da questo brevissimo cenno si può già desumere come il Dolcetto, per la sua precocità di maturazione, potesse essere vendemmiato prima della maggior parte delle altre uve. Del resto il nome in vernacolo locale Duset o Dosset, poi italianizzato in Dolcetto, fa proprio riferimento al grado zuccherino raggiunto e alla acidità moderata di quest’uva, in Piemonte tra le prime uve nere tradizionali ad esser raccolte. Nuvolone (1798), nella sua famosa “istruzione” sulla coltivazione delle viti in Piemonte, annovera il Dolcetto fra le 16 uve nere di prima qualità, capaci di dare un vino “che riesce dolcissimo” e che migliora sensibilmente quello derivato da altre uve, come Zanello e Freisa. Anche il conte Gallesio (1817-39) dimostra di apprezzare il Dolcetto, sia per la sua fertilità e adattabilità a vari ambienti colturali, che per le doti enologiche. Ai suoi tempi il vitigno era già parecchio diffuso in tutto il Piemonte meridionale, dal Saluzzese alle vallate dell’Appennino e nell’entroterra Ligure. Sinonimi storici sono Ormeasco, dal borgo di Ormea in Alta valle Tanaro, Uva di Monferrato nel Genovese e Nebbiolo nel sud-est del Piemonte, nome quest’ultimo che secondo l’autore “è stata da principio una frode di coloro che ne fanno commercio per dagli riputazione”.
Sempre del Gallesio è la prima descrizione del vitigno, accompagnata dalla bellissima e rispondente tavola di Bianca Milesi Mojon. Ad essa segue quella più dettagliata e tecnica di Dalmasso e collaboratori (1962) che ne ricordano anche alcuni sinonimi rivelatisi in realtà errati, tra cui Piedirosso, Refosco, Primitivo e Douce noire, a proposito del quale già Mas e Pulliat (1874-75) si erano accorti dell’errore.